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martedì 28 novembre 2017

Giacomo Leopardi - I canti

Giacomo Leopardi - I canti

I canti è un volume in cui sono contenute le poesie a Firenze pubblicato  nel 1831 presso l'editore Piatti .
Lo stesso titolo conservò nell'edizione corretta e accresciuta di Napoli. Una  successiva edizione postuma accresciuta dei Canti  fu curata dall'amico Antonio Ranieri  (Firenze 1845).
Anteriormente però al 1831 (a partire dal 1818) molte poesie erano però già state pubblicate  in edizioni parziali.

Le poesie sono 41 contraddistinte da un numero romano e quasi tutte dal titolo. Il Leopardi le ha disposte secondo un criterio personale, spesso  non tenendo conto delle date di composizione.
I termini  di canzoni civili primi idilli ecc. non sono  usati dal poeta nell'edizione dei Canti  ma appartengono  alla consuetudine  della critica che li ha derivati dalle precedenti edizioni.

Le forme metriche più importanti dei Canti sono :

a)  La canzone  è uno dei metri più illustri della poesia italiana. Nel Petrarca (1304-1374)  essa è composta di strofe (o stanze  aventi un numero uguale di versi endecasillabi e settenari disposti e rimasti sempre secondo lo schema della 1° strofa ; è conclusa da un commiato  (o licenza)  una strofa in genere più breve delle precedenti.
Il Leopardi usa la canzone di tipo petrarchesco ma modificandone in vari modi lo schema così  ad esempio nella canzone All'Italia  le strofe pari hanno uno schema metrico diverso da quello delle strofe dispari e manca il commiato. Altre poesie scritte nel metro della canzone sono Ad Angelo Mai, Sopra il monumento di Dante, Nelle nozze della sorella Paolina ecc.

b) la canzone libera  (o leopardiana)  i versi sono quelli della canzone petrarchesca endecasillabi e settenari, ma le strofe sono disuguali e costruite con la massima libertà. Sono canzoni libere  Il passero solitario, A Silvia, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, La quiete dopo la tempesta.

c) Gli endecasillabi sciolti  libere successioni  di endecasillabi  non rimati. Sono composti in tale metro L'infinito, La sera del dì di festa, Le ricordanze Aspasia ecc.

lunedì 13 novembre 2017

A Silvia - Giacomo Leopardi

A Silvia - Giacomo Leopardi

Silvia, rimembri ancora                                                   o Silvia ricordi ancora
quel tempo della tua vita mortale                                   quel periodo della vita terrena
quando beltà splendea                                                    quando la bellezza splendeva
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi                                  nei tuoi occhi felici e furtivi
e tu lieta e pensosa, il limitare                                        e tu serena e riflessiva ti avvicinavi
di gioventù salivi ?                                                        alla soglia della giovinezza ?

Sonavan le quiete                                                           Le stanze silenziose
stanze e le vie dintorno                                                  e le vie circostanti risuonavano
al tuo perpetuo canto                                                     al tuo canto ininterrotto e spontaneo,
allor che all'opre femminili intenta                              quando sedevi dedita
sedevi assai contenta                                                    ai lavori femminili  e assai felice
di quel vago avvenir che in mente avevi                   di quell'indeterminato futuro che avevi in mente
Era il maggio odoroso: e tu solevi                             era il mese di maggio pieno di profumi
così menare il giorno                                                  e tu eri solita trascorrere così le giornate

Io gli studi leggiadri                                                   Io abbandonavo talvolta  i miei
talor lasciando e le sudate carte                                  amati componimenti su cui faticavo
ove il tempo mio primo                                              dove si spendeva la miglior parte
e di me spendea la miglior parte                                 di me stesso e della mia adolescenza
d'in su i  veroni del paterno ostello                             dai balconi della casa paterna
porgea gli orecchi al suo della tua voce                     porgevo l'udito al suono della tua voce
e alla man veloce                                                        e a quello della mano che
che percorrea la faticosa tela                                      scorreva veloce sulla tela.
Mirava il ciel sereno                                                   Guardavo il cielo sereno
le vie dorate e gli orti                                                 per le strade invase dal sole e per gli orti
e quinci  il mar da lungi e quindi il monte                  e di qui il mar che appare all'orizzonte e quindi
Lingua mortal non dice                                               gli Appennini il linguaggio mortale non dice
quel che io sentiva in seno                                         quel che allora io sentivo nel cuore.

Che pensieri soavi                                                     che pensieri delicati
che speranze, che cori o Silvia mia !                         che speranze che passioni o Silvia mia !
Quale allor ci apparia                                                 Quanto felice ci appariva allora
la vita umana e il fato !                                               la vita umana e il suo destino !
Quando sovvemmi di cotanta speme                          Quando mi torna in mente di tali illusioni
un affetto mi preme                                                      un moto dell'animo  mi stringe
acerbo e sconsolato                                                      in modo acerbo e senza consolazione,
e tornami a doler mia sventura                                     e torno a soffrire la mia sorte sfortunata
o natura o natura                                                           o natura o natura
perché non rendi poi                                                  perché non dai nell'età della maturità
quel che prometti allor ? perché di tanto                  ciò che hai promesso durante la giovinezza perché
inganni i figlio tuoi   ?                                                inganni così tanti i tuoi figli ?


Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,                           Tu tormentata e sconfitta da un male incurabile
da chiuso morbo  combattuta e vinta                            prima che l'inverno inaridisse i campi
perivi. o tenerella. E non  vedevi                                   ti spegnevi o tenerella. E non potevi vedere
il fiore degli anni tuoi                                                   il fiore dei tuoi anni;
non ti molceva il core                                                   non ti addolciva il cuore
la dolce lode or delle negre chiome                             ora la lode dei tuoi capelli corvini
or degli sguardi innamorati e schivi                             ora gli sguardi innamorati e pudici
ne teco le compagne ai dì festivi                                   ne con te le compagne dei giorni di festa
ragionavan d'amore                                                      discutevano d'amore.

Anche peria fra poco                                                     In modo simile periva di lì a poco
la speranza mia dolce: agli anni miei                          la mia  dolce speranza il destino ha negato
ache negaro i fati                                                           ai miei anni anche
la giovinezza. Ahi come,                                               la giovinezza.
come passata sei,                                                          Ah mia speranza fonte di lacrime
cara compagna dell'età nova,                                         cara compagna della mia gioventù,
mia lacrima speme !                                                     come sei trascorsa !
Questo è il mondo ? questi                                           questo è il mondo che avevamo sperato ?
i diletti, l'amor l'opre, gli eventi                                   Questi i piaceri l'amore le opere gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme ?                            di cui tanto  discutemmo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti ?                                questa è la sorte dell'umanità ?
All'apparir del vero                                                       Al disvelamento  della verità
tu misera cadesti  e con la mano                                   tu misera sei caduta : e con la tua mano
la fredda morte ed una tomba ignuda                           indicavi da lontano la fredda morte
mostravi di lontano                                                       e la tomba spoglia




Il canto muove da un ricordo personale ?

Si. In Silvia il poeta rievoca Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta a 21 anni nel 1818. Ma il canto (scritto nel 1828 ) va ben oltre quella lontana realtà: la memoria della giovinetta  come nota il Flora non è più soltanto  evocativa e pietosa ma poetica.... e cioè assunta in un significato lirico ad esprimere non un fatto particolare ma il divino e l'eterno che è in un episodio terrestre.

La figura di Silvia è soltanto un simbolo ?

No. Essa è immagine stupenda di una giovinetta che sale "il limitare di gioventù e muore senza vedere il  fiore dei suoi anni e insieme simbolo poetico  delle speranze dell'adolescente Leopardi  cadute " all'apparir del vero"

Si può dire che A Silvia sia una poesia d'amore  ?

No Silvia non è una donna di cui il Leopardi si fosse innamorato; è una creatura contemplata un tempo con tenerezza e rievocata ora con affettuosa malinconia  per la sua morte precoce; in essa Leopardi vede trascritta la sua stessa vicenda di sogni e delusioni.

Vi sono nel canto  motivi di paesaggio ?

Sì  di un paesaggio che non è già descrizione ma suggestiva interpretazione di uno stato d'animo di giovanile letizia : "quel maggio odoroso "  quel "ciel sereno ", quelle "vie dorate " sottolineano  la serenità e la gioia  primaverile  in cui respira estatica la commozione dell'adolescenza. Da non dimenticare per altro  al verso 40 quel breve suggerimento di un paesaggio invernale ("tu pria che l'erbe inaridisse il verno " ) intonato al tema desolate della morte precoce.

Ne canto il Leopardi dice :

Ahi , come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrima speme !

A chi si rivolge in questi versi il poeta ?

alla speranza rimpianta e vanamente invocata ("lacrima speme") a tutti i suoi sogni ai dolci inganni dell'adolescenza dolorosamente svaniti col sopraggiungere del vero

martedì 7 novembre 2017

l'Infinito di Giacomo Leopardi

l'Infinito di Giacomo Leopardi

Sempre caro fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte lo sguardo esclude
ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella e sovraumani
silenzi e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo ove per poco
il cor non si spaura e come il vento
odo stormir tra queste piante io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando e mi sovvien l'eterno
e le morte stagioni e la presente
e viva il suon di lei così tra questa
immensità s'annega il pensier mio
e il naufragar m'è dolce in questo mare


Come si può valutare il primo verso dell'Infinito ( Sempre caro fu quest'ermo colle) ?

Come un verso stupendo nella sua elementarità familiare e affettuosa dei vocaboli e nella suggestione remota  che immediatamente da essa si propaga: il timbro è sommesso  il linguaggio parco e misurato eppure lo spunto modesto che esso contiene si allarga senza alcuno sforzo  nell'immaginazione  dell'infinito spaziale e temporale.

Quali sono le occasioni presenti che determinano per contrasto  l'immaginazione e dell'infinito e dell'eterno  ?

la siepe che precludendo la vista del panorama fino all'orizzonte e consentendo di contemplare solo una parte di cielo determina l'immaginazione degli interminati spazi del sovrumani silenzi e lo stormire delle piante mosse dal vento  che suscita l'immaginazione delle età trascorse e del perenne fluire del tempo.

E' lecito definire romantico l'Infinito ?

certamente . romantico  è il senso stesso dell'infinito  che nasce dai limiti del presente, romantica la suggestione di interminati spazi  e dei sovrumani silenzi da aggiungere però che tale momento spirituale ha trovato nei versi leopardiani - composti nel 1819 - un tono severo  e assoluto che esclude qualsiasi sentimentalismo  qualsiasi  troppo immediato  entusiasmo, qualsiasi caduta del pittoresco  : romanticismo maturo, quello del Leopardi  che si esprime in uno stile misurato e controllato sillaba per sillaba : uno stile che domina l'emozione originaria e dà ordine ad essa.

Che cosa esprime questo idillio : un concetto filosofico o una emozione sentimentale ?

Né l'una né l'altra cosa. E sarebbe fuori proposito  parlare di concetto filosofico se mai si dovrebbe parlare di un movimento del pensiero. Così pure emozione sentimentale direbbe qualcosa di troppo immediato  e istintivo  mentre i quindici versi  dell'idillio  sono esemplari per il controllo e la misura artistica.
In realtà  in questa lirica eccezionale il sentimento (sempre caro mi fu quest'ermo colle ; over per poco /il cor non si spaura e " il naufragar m'è dolce in questo mare" ) si lega all'immaginazione  dell'infinito e dell'eterno  ( "interminati /spazi .... e sovrumani /silenzi  e profondissima quiete..." "e mi sovvien l'eterno / e le morte stagioni ") in questa struttura ritmica che ah la solidità  di un severo processo  intellettuale  e insieme la pienezza affettuosa di un moto  del cuore intenso ma placato e raccolto. Pensiero e sentimento si fanno  qui musica grave e meditativa : musica che non indulge al cantabile  che non accarezza l'orecchio  : delicata e insieme profonda.
Il De Sanctis giudicava l'infinito  "contemplazione religiosa " "l'apertura musicale di una nuova era".



lunedì 6 novembre 2017

la poesia religiosa - San Francesco d'Assisi

La poesia religiosa

SAN FRANCESCO D'ASSISI (1182-1226). Nato ad Assisi da Pietro Bernardone, ricco mercante e da Madonna Pica di origine provenzale, condusse una giovinezza gaia e dissipata.
A 21 anni  Francesco combatté contro i Perugini ma, fatto prigioniero , rimase per oltre un anno in carcere a Perugia; tornato ad Assisi, soffrì di una grave malattia che gli procurò  indicibili pene fisiche e spirituali; arruolatosi infine tra gli armati di un cavaliere assisiate diretto in Puglia, provò  più che mai vivo il senso della vanità di ogni grandezza umana e giungo a Spoleto ritornò il giorno stesso ad Assisi completamente trasformato  nell'animo. Qui cadde in una profonda crisi religiosa che lo portò  a rinunciare davanti al padre e al vescovo d'Assisi Giudo a ogni ricchezza terrena.
Si ritirò a vita ascetica e cominciò  a restaurare la Chiesetta di S. Damiano; più tardi colpito dalla lettura di un passo del Vangelo di S: Matteo nella Chiesetta di S: Maria della Porziuncola ("andate per il modo annunciando che il Regno dei Cieli  è imminente, ecc. )  decise di raccogliere in torno a sé  alcuni seguaci, con i quali prese dimora in una casupola abbandonata, chiamata Rivotorto, ma poi, cacciato da un contadino, si rifugiò nella chiesetta della Porziuncola.
S. Francesco fondò 'ordine dei francescani o frati minori di cui la prima Regola più intransigente  fu approvata oralmente da Papa Innocenzo III nel 1210 e la seconda più mite per l'intervento della Chisa fu approvata per iscritto da Papa Onorio III (1223).
Ne 1219 si recò in Oriente ben accolto dal sultano Malek al Kamel ma non riuscendo a diffondervi come sperava la religione cristiana  tornò in Italia; qui  dopo aver ricevuto nel 1124 le stimmate nella solitudine della Verna (Toscana) morì  nella chiesa di S: Maria della Porziuncola il 3 ottobre 1226.
San Francesco  ha grandissima importanza nella storia del basso medioevo. La sua predicazione  contiene fervido il messaggio di amore e fraternità.
Per il suo  impulso nel campo religioso si ebbe una purificazione dei costumi ecclesiastici; nella vita  civile un invito alla pace e alla giustizia  sociale in nome della carità cristiana; nel campo artistico  un richiamo profondo all'interiorità di sentire che animò poi la pittura di Giotto  e la grande poesia di Dante.
Poco dopo la morte del Santo  si diffusero in Italia centrale soprattutto in Umbria  le compagnie dei flagellanti  (Laudesi, Disciplinati ecc. ) tra i quali erano i cosiddetti giullari di Dio  cui si deve la diffusione tra le masse popolari di una nuova poesia religiosa, la Laude.
Le laudi  erano componimenti in lode di Cristo  della Vergine, dei Santi  e in genere della tradizione cristiana  nelle forme metriche della ballata.
San Francesco scrisse il  Cantico di Frate Sole (o laudes creaturarum)  composto secondo una tradizione  che risale ai primi ingenui seguaci, dopo una notte passata nella celletta di S: Damiano in cui il Santo  tormentato dal ma d'occhi e da topi  parve udire una voce di celeste conforto.
E' un a rosa ritmata in dialetto umbro, una specie di salmo in cui il Santo invita tutte le creature il sole e la luna le stesse il vento l'aria e l'acqua la terra e il fuoco a lodare il Signore. L'ultima strofa per sora notra morte corporale fu forse composta negli ultimi giorni di vita alla Porziuncola.
Il Cantico ha un alto valore artistico : si tratta di un intimo messaggio di amore e fraternità  in cui si  riflette tutta la vita spirituale la cultura la fantasia di Francesco.
La bellezza del canto è nella sua fervida intonazione di preghiera modellata sui salmi  e sui cantici della Bibbia e, soprattutto  nella serena letizia delle immagini colorite e luminose.

venerdì 3 novembre 2017

letteratura italiana - le origini

letteratura italiana - le origini

Le lingua italiana deriva dal latino volgare. La lingua latina infatti presentava anticamente due forme una letteraria o scritta ( latino letterario) usata dai dotti e dalle persone  di condizione più elevata uan volgare o parlata ( latino volgare) usata dalla plebe  e dalle persone meno colte. Il latino volgare veniva indicato anche con il nome di sermo plebeius  rusticus militaris  cotiduanus ecc. mentre  il latino letterario diceva ad esempio equus os ignis edere il volgare diceva caballus bucca focus manducare

I coloni latini  esportarono nelle province il latino volgare che subì in tal modo numerose alterazioni a seconda delle lingue parlate  dalle popolazioni locali  così per esempio  tra le popolazioni celtiche della Gallia l'u accentato del latino volgare fu pronunciato in u"

Queste differenze locali si fecero naturalmente più accentuate con la caduta dell'Impero  spezzata l'unità politica  anche l'unità linguistica  andò  dal V secolo in poi gradatamente perdendosi; e dal latino  volgare sorsero le lingue romanze o neolatine ( cioè romanzate o nuove latine).

Le principali lingue neolatine sono sei : portoghese, spagnolo, francese, o lingua d'oi"l, provenzale o lingua d'oc (da cui l'aggettivo occitanico) rumeno e italiano.
Un'altra unità linguistica neolatina è costituita dai dialetti ladini  parlati  in tre zone distinte delle Alpi  Il Friuli  una parte del Trentino  il Cantone dei Grigioni.

I mutamenti principali subiti dal latino nella sua trasformazione in volgare furono :

la perdita del neutro
la perdita dei casi o declinazioni sostituiti dalle preposizioni
la scomparsa della forma passiva del verbo
l'aggiunta dell'articolo
l'instaurazione di una nuova forma di futuro  (amerò da amare habeo )

Non meno profonda fu la trasformazione subìta dalla metrica  antica.
La metrica antica era quantitativa cioè si fondava sulla quantità delle sillabe ( lunghe o brevi )  la metrica volgare è accentuativa cioè si fonda sull'accento delle sillabe.
Vengono  inoltre introdotte la rima e la strofa  già molto usate nei versi latini della decadenza.

I primi scritti del volgare italiano  risalgono al IX secolo e al X secolo  per quanto tracce di volgare si incontrino già in parole e frasi fin dal VI secolo. Tra i primi documenti delle lingua italiana si possono ricordare

1) l'indovinello veronese (IX secolo) :
 se pareba boves - alba pratalia araba - et albo versorio  teneba - et negro semen seminaba - ( Spingeva avanti i buoi  arava bianchi prati  e teneva un bianco aratro e seminava nero seme )  si tratta di un indovinello che indica l'atto dello scrivere scoperto in un codice della Biblioteca Capitolare di Verona. Si tenga presente che i buoi  sono le dita; il campo bianco è il foglio  il bianco aratro è la penna d'oca e il nero seme è l'inchiostro.

2) la carta capuana (960) un documento notarile che tratta una questione di proprietà tra l'abate di Montecassino e un certo Rodelgrimo  d'Aquino.
Eccone il testo " Sao ko kelle terre per kelle fini que ki  contene trenta anni le possette parte sancti Benedicti" (so che quelle terre entro quei confini  che qui si descrivono le ha possedute per trenta anni l'amministrazione del monastero di san Benedetto ).
Il documento è in latino ma la formula di giuramento che abbiamo riportato è scritta in una lingua che ormai risolutamente volgare.

Tra i primi documenti della letteratura italiana si possono ricordare 

1) Ritmo laurenziano (1150  circa)  una cantilena di un giullar toscano in onore di un vescovo  di Osimo.

2)  ritmo cassinese (fine del sec. XII) un dialogo in versi  intorno alla vita celeste e alla vita terrena.

Si tratta di componimenti  che dimostrano buona cultura e notevole abilità tecnica.
E' da osservare che tra i vari volgari di ambito regionale (il lombardo l'umbro il siciliano ecc.)  prevalse infine per ragioni storiche geografiche e letterarie il fiorentino  la lingua di Dante  e della Divina Commedia.

martedì 24 ottobre 2017

La rima

la rima

Due o più versi che terminano  con un gruppo di lettere uguali a partire dall'ultimo accento ritmico  si dicono rimati

Quale a mur quale a porte e quali altròve
tutti davan di sé lucide pròve

invece della rima si ha la consonanza quando  sono identiche le lettere finali

fior di ginestra
tutta infiora la campagna nostra
quando s'affaccia Rita alla finestra

si ha l'assonanza quando sono uguali le vocali ma non le consonanti

la cavallina grigia trotta
e il cane rosso al fianco le galoppa

secondo come sono disposte le rime si dicono

rime accoppiate

AA  BB  CC

rime alternate

AB AB AB

rime chiuse o incrociate

AB-BA

rime incatenate

ABA BCB C

rime ripetute

ABC ABC

rime invertite

ABC CBA

venerdì 8 settembre 2017

grammatica italiana - figure retoriche

grammatica italiana - figure retoriche

I principali modi di espressione del linguaggio figurato sono i traslati  quali la metafora l'allegoria la metonimia la sineddoche l'antonomasia  l'ironia il sarcasmo l'iperbole che indicano un trasferimento di significato parole o costrutti piegati ad esprimere  qualcosa di diverso da quello che in realtà significano; le figure quali la similitudine  la perifrasi  l'ipotiposi  la personificazione l'antitesi la reticenza l'interrogazione retorica  l'eufemismo  l'esclamazione  l'epifonema l'apostrofe : cioè modi particolari di foggiare il discorso e di disporre le parole in maniera tale che le cose rappresentate acquistino maggiore rilievo.

Per dare maggiore vigore all'espressione e renderla intensa suggestiva  il poeta o lo scrittore ricorre spesso alla metafora usa cioè una parola per esprimere una cosa che non è quella  da essa propriamente significata ma un'altra  la quale con quella ha però un rapporto di somiglianza.

questo luogo è un paradiso

La metafora è un'immagine e l'immagine dà vigore all'arte  dello scrivere e particolare colorito. Comunque bisogna usarla con parsimonia  e con buon gusto.

Talvolta in qualche circostanza  si varia efficacemente il discorso  dicendo l'opposto  di quello che si vuol significare ma facendolo capire attraverso il tono della voce  o un modo particolare di esprimersi  e si ha l'ironia :

Avete avuto proprio una bella idea !

e quando essa assume un tono amaro  aspro si ha il sarcasmo.

Se invece l'ironia in un primo momento fa sorridere per  la sua arguzia ma poi induce a un'amara meditazione sulle debolezze o sui vizi degli uomini si ha l'umorismo.

Altre volte si vuole dare al pensiero un rilievo drammatico tanto da creare in chi legge l'illusione di trovarsi  quali nell'azione descritta  o che questa si svolga davanti ai suoi occhi  si ricorre all'ipotiposi.

Non sempre sembra di essere sufficientemente espressivi nell'esposizione di un pensiero per meglio chiarirlo per renderlo più evidente  più intenso nel significato  si ricorre alla similitudine si pone a confronto  il pensiero espresso con un altro più comune il quale come il primo  abbia qualche somiglianza.

i ragazzi lo rincorrevano come un branco di segugi

Alla similitudine si avvicina la personificazione con la quale si dà vita e persona o cosa inanimata.

Per fare risaltare maggiormente una o più idee si possono porre queste riscontro con altre idee opposte dando luogo all'antitesi,

come pure interrompere il discorso in modo da far pensare più di quello che si può esprimere con l e parole e si ha la reticenza

ancora per variare il discorso  e dargli  movimento si è soliti talvolta ricorrere all'interrogazione retorica si rivolge cioè  una domanda a una persona  o cosa personificata non per averne una risposta  ma per affermarla con più forza e indurre altri al nostro stesso pensiero  oppure per manifestare un dubbio che ci tiene sospesi.

Se poi si ritiene necessario per sostenere il tono del discorso significare con un giro ampio di parole senza chiamarla con il suo nome si usa una perifrasi. La quale prende il nome  particolare di eufemismo qualora si voglia mitigare un pensiero che riuscirebbe doloroso o spiacevole o volgare se espresso con il suo nome e di litote quando  per affermare una cosa si nega il contrario

Una metafora continuata è un'allegoria  narrazione o descrizione che non intesa nel suo significato letterale ma interpretata nel significato che si nasconde sotto la lettera. Allegorie sono le favole di Fedro  e le parabole  tutta un'allegoria è la divina commedia.

Con la metonimia si ottiene una energica abbreviazione del linguaggio. Propriamente essa consiste nell'usare un sostantivo invece di un altro nell'esprimere : un rapporto  tra due idee causa effetto oppure un sostantivo astratto al posto di uno concreto  e viceversa oppure il nome dell'autore di un'opera al posto dell'opera oppure la materia di una cosa per la cosa composta con quella oppure il contenente per i contenuto oppure ancora l'epoca per le persone che vi vissero.

Quando sempre per dare colorito allo scritto  o al parlare si nomina il tutto per una parte e viceversa oppure il genere per la specie  oppure il plurale per il singolare e viceversa oppure il numero determinato per l'indeterminato  si dà origine  alla sineddoche trasposizione del significato  di una parola ad un altro con rapporto prevalentemente quantitativo.

Se invece si designa una personaggio famoso per mezzo di un nome comune  che può essere costituito dal paronimico  (Il Pelide = Achille)  dall'aggettivo derivato dal luogo di nascita  da una spiccata qualità o si estende a persona o cosa un nome celebre si ha  l'antonomasia.

una commozione dell'animo  preso dal timore dal dolore o da allegria da meraviglia trova la sua espressione nell'esclamazione o nella epifonema qualora l'esclamazione contenga una sentenza o massima morale.

Si usa l'apostrofe quando nella citazione del discorso o nella commozione dell'animo si rivolge la parola a cose inanimate o a persone assenti.

Qualora si senta il bisogno di snellire  l'espressione di donarle maggiore rapidità ed emotività si usano lo zeugma  e l'ellissi.

Lo zeugma consiste nel riferire a più complementi  un predicato  che si adatta invece a uno solo di essi.

L'ellissi consiste nell'omissione di qualche parola che si può facilmente sottintendere  senza danneggiare la chiarezza del discorso.

A rendere meno prosastica un'espressione ci soccorrono a volte l'ipallage con la quale si attribuisce ad alcune parole della frase ciò che conviene ad altre della frase stessa e l'anastrofe  che consiste nell'invertire l'ordine naturale delle parti del discorso per dare maggiore evidenza ad un altra parte sull'altre

Da evitare e in particolare modo nello scritto  alcune figure grammaticali che ricorrono spesso nel linguaggio familiare quali l'anacoluto ed il pleonasmo ridondanza di parole cioè parole inutili