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mercoledì 29 novembre 2017

Giosuè Carducci

Giosuè Carducci

CENNI BIOGRAFICI

Il Carducci è l'espressione più originale e vigorosa dell'anima poetica dell'Italia nella seconda metà de secolo XIX.
Egli nacque  in Val di Castello frazione Pietrasanta in Versilia il 27 luglio  1835 secondogenito dal medico Michele d'antico  sangue fiorentino  e da Ildegonda Celli.
Il padre carbonaro per i fatti del 183 in Toscana, patì prigionia  e relegazione passò per le sue idee politiche di condotta in condotta  e nell'aprile  del 1849  da Saiatico  riparò in Firenze  dove studiò  presso i Padri  Scolopi.
Laureatosi a Pisa nel '56 ebbe una cattedra nel ginnasio granducale di San Miniato al Tedesco.
Nel '58 vinse il concorso per il ginnasio municipale di Arezzo, ma per l'accusa di empietà religiosa il governo non rettificò la nomina. In seguito  alla morte  del padre e del fratello maggiore Dante passò a Firenze dove studiò alacremente  e cercò di provvedere  anche alla madre ed al fratello minore Valfredo  curando le edizioni  di classici per l'editore Barbera.
Nel '59  sposò Elvira Menicucci da cui ebbe 4 figli di questi Dante morì  bimbo di tre anni con suo sconsolato dolore.
Nell'agosto del '60 era professore al liceo di Pistoia quando Terenzio  Mamiani  ministro dell'istruzione lo chiamò ad insegnare letteratura italiana nell'Università di Bologna.
La sua vita fu tutta dedita alla poesia alla scuola alla famiglia e alle battaglie civili.
Verso il '60  era stato liberale  sabaudo dopo i fatti di Aspromonte fu repubblicano. In tale qualità venne eletto  deputato al Parlamento per il Collegio di Lugo, nel '76.
Verso l'80 si  riconciliò con la monarchia per quell'onesto  senso della storica necessità cui si erano già spiegate le tempre di Garibaldi e Crispi  cioè l'amore patrio preminente  ad ogni considerazione di partito.
Nel '90 fu nominato Senatore del regno. Nel 1904  gravi condizioni di salute lo costrinsero a lasciare l'insegnamento  dopo quarant'anni di servizio, cui  aveva atteso con mirabile zelo e con fiero senso del dovere.
Ebbe dal governo  la medesima pensione assegnata al Manzoni  nel 1906:
La Svezia gli conferì il premio Nobel  per la letteratura.
Il 16 febbraio 1907 morì a Bologna.

LE OPERE

Iuvenilia - contengono disdegni del Carducci  per il romanticismo  disdegni che si concretano spesso con gli ammonimenti patrii e morali. Il poeta si fa vindice del suo  pensiero "nello squallore de l'etade obliqua".

Levia Gravia- Raccolta nella quale compaiono  vagheggiamenti  nella natura quadri storici  e celebrazioni  pattriottiche.

Inno a Satana - E' suggestivo in alcune immagini  specialmente in quella finale  del treno ferroviario; l'inno tratta materiale che sarà sempre poi caro al poeta. IN Satana il Carducci  vede non l'anticristo  ma il moderno Prometeo, che rompe le secolari catene che lo legano per agire secondo verità e pure civiltà.

Giambi e Epodi - Poesie che, per lo sdegno satirico, si atteggiano come i Giambi di Archiloco poeta greco e per il contenuto politico ricordano gli Epodi di Orazio poeta latino. Di fronte al generale sconforto  degli italiani  per la sconfitta di  Lissa e Custoza il poeta si leva indignato a fustigare i fiacchi e gli imbelli.

Intermezzo - segna il passaggio dai Giambi ed Epodi alle Rime Nuove; contiene canti di polemica letteraria diretti non solo  contro i Romantici  ma contro tutti gli assertori o seguaci di tendenze alle quali il Carducci  si sentiva contrario.

Rime Nuove - Queste hanno varie inspirazioni . IN esse spira una serena contemplazione della natura  e una sentimentale ondata di memorie giovanili. Il canto  più famoso è senza dubbio "Davanti San Guido " dove il poeta immagina di conversare con i cipressi che lo videro bambino e adombra della novella della nonna Lucia il dileguarsi del giovanile incanto lamentato nel sonetto Traversando la Maremma Toscana.

La Canzone di Legnano  e  Ca ira - Qui canta ribelli ed eroi; assurge evocare i fasti della Lega Lombarda nella prima e nei sonetti Ca ira rappresenta i primi terribili episodi della Rivoluzione Francese.

Le Odi Barbare- L'arte carducciana nella Odi Barbare raggiunge la più alta espressione. Queste Odi  sono chiamate barbare dal poeta perché cerca di rendere  gli schemi della metrica della poesia greca e latina con il sistema accentuativo anziché quello  quantitativo rivelando così che sono scritti da un barbaro cioè da un poeta non greco né romano. In esse si fondano i primi essenziali e vitali elementi della ispirazione del Carducci e l'unità di sentimenti diventa melodiosa euritmia.
Vate della terza Italia egli da Toma trae i più fulgidi auspici; vuole compiuta l'Italia sino ai suoi confini etnici; esalta  le figure dei liberatori di Garibaldi in specie.

Rime e Ritmi - In questi componimenti poetici più intimi si fanno i colloqui con l'infinito  che attende il poeta nel suo mistero e su chi la già respinte fede di Cristo getta un raggio e diffonde un cantico.

martedì 28 novembre 2017

Il verismo

Il verismo

Il verismo che uno delle più notevoli correnti letterarie della metà del Ottocento nacque e si sviluppò  in Italia tra il 1870 e 1890 quando la passione eroica del Risorgimento  si era spenta e la soluzione di gravi problemi sociali richiedeva uomini  particolarmente sensibili  nell'interpretare le esigenze di singole popolazioni del Regno d'Italia.
Il Romanticismo eroico che aveva animato tutti glia avvenimenti storici del Risorgimento  nazionale si era definitivamente chiuso. Un'altra sorta di Romanticismo che in un certo senso  si identificava con il Decadentismo  del Prati e dell'Aleardi  si andava divulgando lugubre e lacrimoso un po' dappertutto in Italia. Era intanto  penetrato in Italia il Realismo naturalistico d'importazione francese ad opera dei cosiddetti autori-ritrattisti  o fotografi Flaubert e Zola  che diedero  origine al romanzo naturalista.
Il  Verismo italiano fu però un orientamento letterario autonomo; non può infatti ricollegarsi in alcun modo al realismo francese  su cui ampia e determinante fu al concezione filosofico-scientifica del Positivismo.
Un termine  di confronto con il Verismo  può trovare soltanto con il Romanticismo manzoniano che, se ebbe come canone artistico la poetica del vero , non si sottrasse, tuttavia al soggettivismo e all'individualismo.

CARATTERI FONDAMENTALI DEL VERISMO

I )  Impersonalità dell'arte.

L'autore dell'opera d'arte doveva rimanere estraneo alla vicenda ritratta realisticamente e narrata senza la partecipazione né reale né fantastica.
Il romanzo, la novella e gli altri generi in cui si manifestò il Verismo diventavano un aspetto della scienza (letteratura come scienza), il cui oggetto di studio si concretizzava nell'analisi psicologica ed ecologica (commozioni, sentimenti, turbe fisiche e psichiche dell'uomo  caratteristiche dell'ambiente considerato come naturale sede e dimora del singolo e della collettività).

II) Socialità dell'arte.

I veristi intesero l'arte come dimostrazione di una fede laica e sociale. Essi ebbero come fine l'azione e la documentazione dell'azione e della vicenda umana inquadrata in un momento storico  in un contesto sociale in cui spiccassero soprattutto le reali condizione delle classi più misere.

III) Funzione promozionale dell'arte.

I veristi  tendevano a scoprire la legge di ogni fenomeno, specialmente sociale ed ad illuminare la ragione che, fatta esperta di tutti gli organi e le leve del meccanismo umano, fisiologico e psicologico e perciò anche sociologico, avrebbe potuto eliminare dal mondo il vizio e determinare attraverso il processo scientifico il programma ed il perfezionamento  del singolo individuo e dell'aggregato sociale.

IV) Popolarità e dialettalità della espressione.

I veristi mentre operavano per una sempre maggiore conoscenza dei luoghi che diventavano la panoramica su cui si svolgeva la vicenda delle loro novelle o dei loro romanzi interessavano i lettori delle loro opere, scrivendo  con un lingua più possibile vicina al cittadino o al popolo di cui si narrava. Rendevano così più vera e realistica la narrazione e quindi più viva la partecipazione del lettore e cioè più efficace ai fini politici e sociali la letteratura cui davano di volta in volta origine.

V) la letteratura come strumento di denuncia.

Le opere dei veristi servivano  ai loro autore come mezzi di denuncia sociale. Si ricordi che tra il 1870 e il 1890 dalle popolazioni delle isole e delle regioni meridionali d'Italia, particolarmente richiesta era la soluzione della questione sociale. Erano gli strati più bassi delle popolazioni siciliano sarde napoletano calabresi, delle popolazione del Mezzogiorno d'Italia c he con insistenza  invocavano riforme e leggi che risolvessero il problema complesso ed annoso della miseria.
Gli autori veristi superando in un certo senso il lassismo e la sfiducia dilagante nelle loro  regioni più che nelle loro province, in virtù della fede laica e sociale che può considerarsi la leva del loro operare, raccolsero  e resero pubblica con il metodo della denuncia, la protesta di tutta la classe sociale la più vasta  quella che dal lavoro senza protezione e senza tutela né giuridica né previdenziale doveva trarre gli scarsi mezzi di sostentamento.
Le regioni più profondamente esaminate con i criteri della scienza positivistico-sociologica  furono Sicilia (Capuana e Verga) la Sardegna (Grazia Deledda)  la Maremma Toscana (Renato Fucini  con lo pseudonimo Neri Tanfucio) e i bassifondi di Napoli (Matilde Serao).
Anche D'Annunzio descrissse la vita dei pastori d'Abruzzo e Ada Negri.

GIuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti

Il maggiore poeta ermetico italiano è ritenuto ormai dalla critica nato ad Alessandria  d0'Egitto nel 1888 morto a Roma nel 1970)
La nuova poesia  italiana che fu denominata con il termine di ermetismo  al suo apparire suscitò polemiche serrate e vivi contrasti.
 Il termine ermetismo adottato per designare questa nuova corrente  poetica e la denominazione di poesia ermetica furono utilizzati  in sede critica con tono significato dispregiativo.
Nei due termini si sintetizzò il giudizio negativo dei lettori critici legati alla tradizione relativamente a quella poesia difficile ed oscura.
Con il termine ermetismo oggi in sede storica si indica  la poesia che ebbe il suo primo teorico e meglio il suo primo qualificato esponente  in Ungaretti.
Con Ungaretti nacque il culto più che il mito della parola essenziale con cui Ungaretti riuscì a tradurre appunto con la parola l'essenzialità della vita considerata e cantata nel suo profondo e quasi impenetrabile contenuto umano.
Un connotato inconfondibile della poesia ungarettiana  è il Porto sepolto  considerato il manifesto dell'ermetismo.
La raccolta prende nome dal Porto sepolto che si trova ad Alessandria d'Egitto  citta natale di Ungaretti.
Nella poesia il Porto sepolto  si identifica nell'inconoscibile di cui l'autore tenta l'esplorazione.
In questa prima raccolta di liriche Ungaretti si mostra poeta già maturo infatti  egli scrisse  le sue poesie dopo frequenti  conversazioni con amici poeti e artisti italiani e stranieri ( Apollinaire, Picasso, Papini, Palazzeschi) ed attente letture  delle opere di grandi decadenti francesi (Mallarmé e Rimbaud).
L'occasione di esprimere in versi  il suo mondo interiore di ricordi, di sentimenti e di umanità fu data dalla prima guerra mondiale. La guerra infatti fu per lui  una grande maestra : gli diede la possibilità  di constatare l'uguaglianza  degli uomini, spogliati di tutti gli ornamenti di censo di cultura di condizione sociale  e di educazione.
La parola che doveva esprimere una tale scarna essenzialità  non poteva che adeguarsi  ad essa e così la poesia purificata da ogni sovrastruttura retorica  fu nuda essenziale. Le  sue poesie sono brevissime, talvolta  di un solo  verso (m'illumino d'immenso)  e sono  poesie che sollecitano il lettore a meditare e ad approfondire le immagini viste e contemplate nei versi incisivi del poeta.
Le sue parole nei versi risuonano fortemente pausate, scandite per richiamare il lettore all'attenzione su parole straordinariamente solenni, che sembrano  le parole di un messaggio antico e  nuovo allo stesso tempo, di un messaggio  che ha il sapore e il tono dell'eternità.
La seconda  raccolta di Ungaretti è  intitolata L'Allegria  ed è  infatti l'allegria che segue alla speranza degli scampati dalla guerra  che il poeta canta.
In un momento di maggiore maturità stilistica Ungaretti  passa dalla parola pausata a un discorso pausato. Ma il poeta resta sempre il sacerdote di una poesia  che contiene e invia messaggi ai lettori insistendo sul dualismo mondo in cui l'uomo  vive e mondo assoluto ed indefinibile  che identifica con Dio.
Compito della poesia di Ungaretti è la ricerca di un possibile accordo fra il mondo in cui gli uomini vivono  e il mondo assoluto Dio.
Un altro diverso sentimento ungarettiano sono da considerarsi le poesie di Sentimento del tempo dove l'itinerario verso Dio  è più aperto. Solo la speranza dell'esistenza di Dio  e dell'incontro finale dell'uomo con Dio  può conferire all'uomo  la forza di sopportare la pena di vivere.
In questa raccolta in cui il misticismo  religioso dell'autore  si fa più vivo Ungaretti  rivive in sé e canta  il dramma del peccato della caduta dell'uomo e dell'esigenza indispensabile della Grazia per iniziare  e quindi completare la redenzione. E' di questa raccolta la poesia La Madre che può considerarsi una fervida preghiere e insieme una poesia densa di amore e pietà umana.
In conclusione si può disegnare la personalità artistica di Ungaretti affermando che egli ha dato un notevole contributo alla migliore prosa d'arte del Novecento mettendo in particolare risalto la sua invenzione dell'Ermetismo dell'essenzialità della parola pausata e scandita.
Ungaretti insomma fu grande poeta del dolore dell'allegria del tempo dell'itinerario dell'uomo verso l'assoluto : Dio.
La sua poesia libera di orpelli suscita meditazione del lettore sulla vita sulla pena di vivere sulla speranza cristiana della redenzione e di gioia eterna.

OPERE

I Porto sepolto
l'allegria
Sentimento del tempo
Poesie disperse
Il dolore
La terra promessa
Un grido paesaggi
Il taccuino del vecchio

Tutte le poesie sono state raccolte sotto un unico titolo : Vita di un uomo.

Giacomo Leopardi - I canti

Giacomo Leopardi - I canti

I canti è un volume in cui sono contenute le poesie a Firenze pubblicato  nel 1831 presso l'editore Piatti .
Lo stesso titolo conservò nell'edizione corretta e accresciuta di Napoli. Una  successiva edizione postuma accresciuta dei Canti  fu curata dall'amico Antonio Ranieri  (Firenze 1845).
Anteriormente però al 1831 (a partire dal 1818) molte poesie erano però già state pubblicate  in edizioni parziali.

Le poesie sono 41 contraddistinte da un numero romano e quasi tutte dal titolo. Il Leopardi le ha disposte secondo un criterio personale, spesso  non tenendo conto delle date di composizione.
I termini  di canzoni civili primi idilli ecc. non sono  usati dal poeta nell'edizione dei Canti  ma appartengono  alla consuetudine  della critica che li ha derivati dalle precedenti edizioni.

Le forme metriche più importanti dei Canti sono :

a)  La canzone  è uno dei metri più illustri della poesia italiana. Nel Petrarca (1304-1374)  essa è composta di strofe (o stanze  aventi un numero uguale di versi endecasillabi e settenari disposti e rimasti sempre secondo lo schema della 1° strofa ; è conclusa da un commiato  (o licenza)  una strofa in genere più breve delle precedenti.
Il Leopardi usa la canzone di tipo petrarchesco ma modificandone in vari modi lo schema così  ad esempio nella canzone All'Italia  le strofe pari hanno uno schema metrico diverso da quello delle strofe dispari e manca il commiato. Altre poesie scritte nel metro della canzone sono Ad Angelo Mai, Sopra il monumento di Dante, Nelle nozze della sorella Paolina ecc.

b) la canzone libera  (o leopardiana)  i versi sono quelli della canzone petrarchesca endecasillabi e settenari, ma le strofe sono disuguali e costruite con la massima libertà. Sono canzoni libere  Il passero solitario, A Silvia, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, La quiete dopo la tempesta.

c) Gli endecasillabi sciolti  libere successioni  di endecasillabi  non rimati. Sono composti in tale metro L'infinito, La sera del dì di festa, Le ricordanze Aspasia ecc.

lunedì 13 novembre 2017

A Silvia - Giacomo Leopardi

A Silvia - Giacomo Leopardi

Silvia, rimembri ancora                                                   o Silvia ricordi ancora
quel tempo della tua vita mortale                                   quel periodo della vita terrena
quando beltà splendea                                                    quando la bellezza splendeva
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi                                  nei tuoi occhi felici e furtivi
e tu lieta e pensosa, il limitare                                        e tu serena e riflessiva ti avvicinavi
di gioventù salivi ?                                                        alla soglia della giovinezza ?

Sonavan le quiete                                                           Le stanze silenziose
stanze e le vie dintorno                                                  e le vie circostanti risuonavano
al tuo perpetuo canto                                                     al tuo canto ininterrotto e spontaneo,
allor che all'opre femminili intenta                              quando sedevi dedita
sedevi assai contenta                                                    ai lavori femminili  e assai felice
di quel vago avvenir che in mente avevi                   di quell'indeterminato futuro che avevi in mente
Era il maggio odoroso: e tu solevi                             era il mese di maggio pieno di profumi
così menare il giorno                                                  e tu eri solita trascorrere così le giornate

Io gli studi leggiadri                                                   Io abbandonavo talvolta  i miei
talor lasciando e le sudate carte                                  amati componimenti su cui faticavo
ove il tempo mio primo                                              dove si spendeva la miglior parte
e di me spendea la miglior parte                                 di me stesso e della mia adolescenza
d'in su i  veroni del paterno ostello                             dai balconi della casa paterna
porgea gli orecchi al suo della tua voce                     porgevo l'udito al suono della tua voce
e alla man veloce                                                        e a quello della mano che
che percorrea la faticosa tela                                      scorreva veloce sulla tela.
Mirava il ciel sereno                                                   Guardavo il cielo sereno
le vie dorate e gli orti                                                 per le strade invase dal sole e per gli orti
e quinci  il mar da lungi e quindi il monte                  e di qui il mar che appare all'orizzonte e quindi
Lingua mortal non dice                                               gli Appennini il linguaggio mortale non dice
quel che io sentiva in seno                                         quel che allora io sentivo nel cuore.

Che pensieri soavi                                                     che pensieri delicati
che speranze, che cori o Silvia mia !                         che speranze che passioni o Silvia mia !
Quale allor ci apparia                                                 Quanto felice ci appariva allora
la vita umana e il fato !                                               la vita umana e il suo destino !
Quando sovvemmi di cotanta speme                          Quando mi torna in mente di tali illusioni
un affetto mi preme                                                      un moto dell'animo  mi stringe
acerbo e sconsolato                                                      in modo acerbo e senza consolazione,
e tornami a doler mia sventura                                     e torno a soffrire la mia sorte sfortunata
o natura o natura                                                           o natura o natura
perché non rendi poi                                                  perché non dai nell'età della maturità
quel che prometti allor ? perché di tanto                  ciò che hai promesso durante la giovinezza perché
inganni i figlio tuoi   ?                                                inganni così tanti i tuoi figli ?


Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,                           Tu tormentata e sconfitta da un male incurabile
da chiuso morbo  combattuta e vinta                            prima che l'inverno inaridisse i campi
perivi. o tenerella. E non  vedevi                                   ti spegnevi o tenerella. E non potevi vedere
il fiore degli anni tuoi                                                   il fiore dei tuoi anni;
non ti molceva il core                                                   non ti addolciva il cuore
la dolce lode or delle negre chiome                             ora la lode dei tuoi capelli corvini
or degli sguardi innamorati e schivi                             ora gli sguardi innamorati e pudici
ne teco le compagne ai dì festivi                                   ne con te le compagne dei giorni di festa
ragionavan d'amore                                                      discutevano d'amore.

Anche peria fra poco                                                     In modo simile periva di lì a poco
la speranza mia dolce: agli anni miei                          la mia  dolce speranza il destino ha negato
ache negaro i fati                                                           ai miei anni anche
la giovinezza. Ahi come,                                               la giovinezza.
come passata sei,                                                          Ah mia speranza fonte di lacrime
cara compagna dell'età nova,                                         cara compagna della mia gioventù,
mia lacrima speme !                                                     come sei trascorsa !
Questo è il mondo ? questi                                           questo è il mondo che avevamo sperato ?
i diletti, l'amor l'opre, gli eventi                                   Questi i piaceri l'amore le opere gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme ?                            di cui tanto  discutemmo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti ?                                questa è la sorte dell'umanità ?
All'apparir del vero                                                       Al disvelamento  della verità
tu misera cadesti  e con la mano                                   tu misera sei caduta : e con la tua mano
la fredda morte ed una tomba ignuda                           indicavi da lontano la fredda morte
mostravi di lontano                                                       e la tomba spoglia




Il canto muove da un ricordo personale ?

Si. In Silvia il poeta rievoca Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta a 21 anni nel 1818. Ma il canto (scritto nel 1828 ) va ben oltre quella lontana realtà: la memoria della giovinetta  come nota il Flora non è più soltanto  evocativa e pietosa ma poetica.... e cioè assunta in un significato lirico ad esprimere non un fatto particolare ma il divino e l'eterno che è in un episodio terrestre.

La figura di Silvia è soltanto un simbolo ?

No. Essa è immagine stupenda di una giovinetta che sale "il limitare di gioventù e muore senza vedere il  fiore dei suoi anni e insieme simbolo poetico  delle speranze dell'adolescente Leopardi  cadute " all'apparir del vero"

Si può dire che A Silvia sia una poesia d'amore  ?

No Silvia non è una donna di cui il Leopardi si fosse innamorato; è una creatura contemplata un tempo con tenerezza e rievocata ora con affettuosa malinconia  per la sua morte precoce; in essa Leopardi vede trascritta la sua stessa vicenda di sogni e delusioni.

Vi sono nel canto  motivi di paesaggio ?

Sì  di un paesaggio che non è già descrizione ma suggestiva interpretazione di uno stato d'animo di giovanile letizia : "quel maggio odoroso "  quel "ciel sereno ", quelle "vie dorate " sottolineano  la serenità e la gioia  primaverile  in cui respira estatica la commozione dell'adolescenza. Da non dimenticare per altro  al verso 40 quel breve suggerimento di un paesaggio invernale ("tu pria che l'erbe inaridisse il verno " ) intonato al tema desolate della morte precoce.

Ne canto il Leopardi dice :

Ahi , come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrima speme !

A chi si rivolge in questi versi il poeta ?

alla speranza rimpianta e vanamente invocata ("lacrima speme") a tutti i suoi sogni ai dolci inganni dell'adolescenza dolorosamente svaniti col sopraggiungere del vero

martedì 7 novembre 2017

l'Infinito di Giacomo Leopardi

l'Infinito di Giacomo Leopardi

Sempre caro fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte lo sguardo esclude
ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella e sovraumani
silenzi e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo ove per poco
il cor non si spaura e come il vento
odo stormir tra queste piante io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando e mi sovvien l'eterno
e le morte stagioni e la presente
e viva il suon di lei così tra questa
immensità s'annega il pensier mio
e il naufragar m'è dolce in questo mare


Come si può valutare il primo verso dell'Infinito ( Sempre caro fu quest'ermo colle) ?

Come un verso stupendo nella sua elementarità familiare e affettuosa dei vocaboli e nella suggestione remota  che immediatamente da essa si propaga: il timbro è sommesso  il linguaggio parco e misurato eppure lo spunto modesto che esso contiene si allarga senza alcuno sforzo  nell'immaginazione  dell'infinito spaziale e temporale.

Quali sono le occasioni presenti che determinano per contrasto  l'immaginazione e dell'infinito e dell'eterno  ?

la siepe che precludendo la vista del panorama fino all'orizzonte e consentendo di contemplare solo una parte di cielo determina l'immaginazione degli interminati spazi del sovrumani silenzi e lo stormire delle piante mosse dal vento  che suscita l'immaginazione delle età trascorse e del perenne fluire del tempo.

E' lecito definire romantico l'Infinito ?

certamente . romantico  è il senso stesso dell'infinito  che nasce dai limiti del presente, romantica la suggestione di interminati spazi  e dei sovrumani silenzi da aggiungere però che tale momento spirituale ha trovato nei versi leopardiani - composti nel 1819 - un tono severo  e assoluto che esclude qualsiasi sentimentalismo  qualsiasi  troppo immediato  entusiasmo, qualsiasi caduta del pittoresco  : romanticismo maturo, quello del Leopardi  che si esprime in uno stile misurato e controllato sillaba per sillaba : uno stile che domina l'emozione originaria e dà ordine ad essa.

Che cosa esprime questo idillio : un concetto filosofico o una emozione sentimentale ?

Né l'una né l'altra cosa. E sarebbe fuori proposito  parlare di concetto filosofico se mai si dovrebbe parlare di un movimento del pensiero. Così pure emozione sentimentale direbbe qualcosa di troppo immediato  e istintivo  mentre i quindici versi  dell'idillio  sono esemplari per il controllo e la misura artistica.
In realtà  in questa lirica eccezionale il sentimento (sempre caro mi fu quest'ermo colle ; over per poco /il cor non si spaura e " il naufragar m'è dolce in questo mare" ) si lega all'immaginazione  dell'infinito e dell'eterno  ( "interminati /spazi .... e sovrumani /silenzi  e profondissima quiete..." "e mi sovvien l'eterno / e le morte stagioni ") in questa struttura ritmica che ah la solidità  di un severo processo  intellettuale  e insieme la pienezza affettuosa di un moto  del cuore intenso ma placato e raccolto. Pensiero e sentimento si fanno  qui musica grave e meditativa : musica che non indulge al cantabile  che non accarezza l'orecchio  : delicata e insieme profonda.
Il De Sanctis giudicava l'infinito  "contemplazione religiosa " "l'apertura musicale di una nuova era".



lunedì 6 novembre 2017

la poesia religiosa - San Francesco d'Assisi

La poesia religiosa

SAN FRANCESCO D'ASSISI (1182-1226). Nato ad Assisi da Pietro Bernardone, ricco mercante e da Madonna Pica di origine provenzale, condusse una giovinezza gaia e dissipata.
A 21 anni  Francesco combatté contro i Perugini ma, fatto prigioniero , rimase per oltre un anno in carcere a Perugia; tornato ad Assisi, soffrì di una grave malattia che gli procurò  indicibili pene fisiche e spirituali; arruolatosi infine tra gli armati di un cavaliere assisiate diretto in Puglia, provò  più che mai vivo il senso della vanità di ogni grandezza umana e giungo a Spoleto ritornò il giorno stesso ad Assisi completamente trasformato  nell'animo. Qui cadde in una profonda crisi religiosa che lo portò  a rinunciare davanti al padre e al vescovo d'Assisi Giudo a ogni ricchezza terrena.
Si ritirò a vita ascetica e cominciò  a restaurare la Chiesetta di S. Damiano; più tardi colpito dalla lettura di un passo del Vangelo di S: Matteo nella Chiesetta di S: Maria della Porziuncola ("andate per il modo annunciando che il Regno dei Cieli  è imminente, ecc. )  decise di raccogliere in torno a sé  alcuni seguaci, con i quali prese dimora in una casupola abbandonata, chiamata Rivotorto, ma poi, cacciato da un contadino, si rifugiò nella chiesetta della Porziuncola.
S. Francesco fondò 'ordine dei francescani o frati minori di cui la prima Regola più intransigente  fu approvata oralmente da Papa Innocenzo III nel 1210 e la seconda più mite per l'intervento della Chisa fu approvata per iscritto da Papa Onorio III (1223).
Ne 1219 si recò in Oriente ben accolto dal sultano Malek al Kamel ma non riuscendo a diffondervi come sperava la religione cristiana  tornò in Italia; qui  dopo aver ricevuto nel 1124 le stimmate nella solitudine della Verna (Toscana) morì  nella chiesa di S: Maria della Porziuncola il 3 ottobre 1226.
San Francesco  ha grandissima importanza nella storia del basso medioevo. La sua predicazione  contiene fervido il messaggio di amore e fraternità.
Per il suo  impulso nel campo religioso si ebbe una purificazione dei costumi ecclesiastici; nella vita  civile un invito alla pace e alla giustizia  sociale in nome della carità cristiana; nel campo artistico  un richiamo profondo all'interiorità di sentire che animò poi la pittura di Giotto  e la grande poesia di Dante.
Poco dopo la morte del Santo  si diffusero in Italia centrale soprattutto in Umbria  le compagnie dei flagellanti  (Laudesi, Disciplinati ecc. ) tra i quali erano i cosiddetti giullari di Dio  cui si deve la diffusione tra le masse popolari di una nuova poesia religiosa, la Laude.
Le laudi  erano componimenti in lode di Cristo  della Vergine, dei Santi  e in genere della tradizione cristiana  nelle forme metriche della ballata.
San Francesco scrisse il  Cantico di Frate Sole (o laudes creaturarum)  composto secondo una tradizione  che risale ai primi ingenui seguaci, dopo una notte passata nella celletta di S: Damiano in cui il Santo  tormentato dal ma d'occhi e da topi  parve udire una voce di celeste conforto.
E' un a rosa ritmata in dialetto umbro, una specie di salmo in cui il Santo invita tutte le creature il sole e la luna le stesse il vento l'aria e l'acqua la terra e il fuoco a lodare il Signore. L'ultima strofa per sora notra morte corporale fu forse composta negli ultimi giorni di vita alla Porziuncola.
Il Cantico ha un alto valore artistico : si tratta di un intimo messaggio di amore e fraternità  in cui si  riflette tutta la vita spirituale la cultura la fantasia di Francesco.
La bellezza del canto è nella sua fervida intonazione di preghiera modellata sui salmi  e sui cantici della Bibbia e, soprattutto  nella serena letizia delle immagini colorite e luminose.

venerdì 3 novembre 2017

letteratura italiana - le origini

letteratura italiana - le origini

Le lingua italiana deriva dal latino volgare. La lingua latina infatti presentava anticamente due forme una letteraria o scritta ( latino letterario) usata dai dotti e dalle persone  di condizione più elevata uan volgare o parlata ( latino volgare) usata dalla plebe  e dalle persone meno colte. Il latino volgare veniva indicato anche con il nome di sermo plebeius  rusticus militaris  cotiduanus ecc. mentre  il latino letterario diceva ad esempio equus os ignis edere il volgare diceva caballus bucca focus manducare

I coloni latini  esportarono nelle province il latino volgare che subì in tal modo numerose alterazioni a seconda delle lingue parlate  dalle popolazioni locali  così per esempio  tra le popolazioni celtiche della Gallia l'u accentato del latino volgare fu pronunciato in u"

Queste differenze locali si fecero naturalmente più accentuate con la caduta dell'Impero  spezzata l'unità politica  anche l'unità linguistica  andò  dal V secolo in poi gradatamente perdendosi; e dal latino  volgare sorsero le lingue romanze o neolatine ( cioè romanzate o nuove latine).

Le principali lingue neolatine sono sei : portoghese, spagnolo, francese, o lingua d'oi"l, provenzale o lingua d'oc (da cui l'aggettivo occitanico) rumeno e italiano.
Un'altra unità linguistica neolatina è costituita dai dialetti ladini  parlati  in tre zone distinte delle Alpi  Il Friuli  una parte del Trentino  il Cantone dei Grigioni.

I mutamenti principali subiti dal latino nella sua trasformazione in volgare furono :

la perdita del neutro
la perdita dei casi o declinazioni sostituiti dalle preposizioni
la scomparsa della forma passiva del verbo
l'aggiunta dell'articolo
l'instaurazione di una nuova forma di futuro  (amerò da amare habeo )

Non meno profonda fu la trasformazione subìta dalla metrica  antica.
La metrica antica era quantitativa cioè si fondava sulla quantità delle sillabe ( lunghe o brevi )  la metrica volgare è accentuativa cioè si fonda sull'accento delle sillabe.
Vengono  inoltre introdotte la rima e la strofa  già molto usate nei versi latini della decadenza.

I primi scritti del volgare italiano  risalgono al IX secolo e al X secolo  per quanto tracce di volgare si incontrino già in parole e frasi fin dal VI secolo. Tra i primi documenti delle lingua italiana si possono ricordare

1) l'indovinello veronese (IX secolo) :
 se pareba boves - alba pratalia araba - et albo versorio  teneba - et negro semen seminaba - ( Spingeva avanti i buoi  arava bianchi prati  e teneva un bianco aratro e seminava nero seme )  si tratta di un indovinello che indica l'atto dello scrivere scoperto in un codice della Biblioteca Capitolare di Verona. Si tenga presente che i buoi  sono le dita; il campo bianco è il foglio  il bianco aratro è la penna d'oca e il nero seme è l'inchiostro.

2) la carta capuana (960) un documento notarile che tratta una questione di proprietà tra l'abate di Montecassino e un certo Rodelgrimo  d'Aquino.
Eccone il testo " Sao ko kelle terre per kelle fini que ki  contene trenta anni le possette parte sancti Benedicti" (so che quelle terre entro quei confini  che qui si descrivono le ha possedute per trenta anni l'amministrazione del monastero di san Benedetto ).
Il documento è in latino ma la formula di giuramento che abbiamo riportato è scritta in una lingua che ormai risolutamente volgare.

Tra i primi documenti della letteratura italiana si possono ricordare 

1) Ritmo laurenziano (1150  circa)  una cantilena di un giullar toscano in onore di un vescovo  di Osimo.

2)  ritmo cassinese (fine del sec. XII) un dialogo in versi  intorno alla vita celeste e alla vita terrena.

Si tratta di componimenti  che dimostrano buona cultura e notevole abilità tecnica.
E' da osservare che tra i vari volgari di ambito regionale (il lombardo l'umbro il siciliano ecc.)  prevalse infine per ragioni storiche geografiche e letterarie il fiorentino  la lingua di Dante  e della Divina Commedia.